Le canzoni e la letteratura. Sul Nobel a Bob Dylan

Nel 2016 il Nobel per la Letteratura è stato assegnato a Bob Dylan. Per la prima volta il premio non andava a uno romanziere, a un poeta, a un drammaturgo, ma a un musicista, «for having created new poetic expressions within the great American song tradition» 1. Qualche giorno dopo, cercavo di spiegare perché il Nobel a Dylan è una rivoluzione. Quelle riflessioni – con una postilla – mi sembrano ancora valide.



1. Io mi occupo di letteratura medievale. Nell’autunno del 2016, qualche settimana prima del Nobel, mi ero ritrovato a presentare un progetto di ricerca a Futuro Remoto, una manifestazione di cultura scientifica che si svolge a Napoli da trent’anni ed è pensata per gli studenti delle scuole medie e superiori. Il mio stand era fra un team di ingegneri con i loro super-materiali e dei tizi con una tuta ipertecnologica per immersioni. Com’era facile immaginare, i poster sui trovatori e Dante, i computer sui quali scorrevano immagini di manoscritti e con i quali i miei colleghi e io facevamo ascoltare qualche pezzo di canzoni medievali non hanno riscosso molto successo. Era anzi divertente osservare i professori che, dopo una saggia e rapida occhiata, scartavano lo stand conducendo oltre le scolaresche. Quando un gruppetto di studenti si fermava ad ascoltare c’erano solo pochi argomenti che funzionavano e facevano scattare qualcosa nei loro cervelli pieni di tecnologia e di innovazione: che i trovatori sono stati i primi “cantautori” moderni, i primi a comporre in una lingua comprensibile a tutti; e che per un po’ di tempo, in Italia, gli italiani scrivevano in occitano, che aveva maggior prestigio culturale, e non nella loro lingua materna, proprio come oggi si scrivono canzoni in inglese. 

2. Quando si parla di letteratura antica e medievale i più giovani sembrano essere quindi colpiti soprattutto da due aspetti. Uno più generale, cioè che il passato per certi versi non è poi così diverso dal presente. E uno più specifico, ma molto più interessante: che una parte significativa delle opere contenute nei manuali scolastici è abbastanza lontana dall’idea di letteratura che le istituzioni culturali tramandano. E più precisamente che i trovatori, i primi poeti in lingua volgare, quelli che hanno “inventato” la poesia moderna e senza i quali non sarebbero esistiti né Giacomo da Lentini né Dante né Petrarca, erano in fondo più simili a Bob Dylan che agli altri poeti che hanno vinto il premio Nobel e che si studiano normalmente a scuola, come Salvatore Quasimodo o Eugenio Montale.

E in fondo i tempi erano maturi per il Nobel a un cantautore: in alcuni manuali di letteratura italiana per le superiori si mettono già in parallelo i trovatori e i cantanti moderni; e la sera in cui si è saputo che il Nobel lo aveva vinto Dylan, alla radio qualcuno ricordava di averlo portato alla maturità alla fine degli anni Ottanta (in inglese, non in italiano). L’ovvia conclusione sembra essere che se i trovatori, i poeti più importanti del Medioevo, quei poeti che oggi studiamo come una parte della letteratura, erano quasi come dei cantautori, allora è legittimo assegnare a un cantautore il Nobel per la letteratura. 

3. Ma le cose non sono così semplici. Il Nobel a Bob Dylan è una rivoluzione. Anche chi come me si occupa di letteratura italiana e romanza dei primi secoli, quei secoli in cui la maggior parte della poesia era cantata o accompagnata dalla musica, e che quindi dovrebbe considerare del tutto normale che delle canzoni siano trattate come letteratura, non può evitare di fermarsi a riflettere quando per la prima volta il più importante premio letterario al mondo è assegnato non a un autore che scrive per essere letto, ma a un autore che scrive per essere ascoltato. Quello che conta, infatti, non è che Bob Dylan e i trovatori possano sembrare molto vicini tra loro (una visione che però non tutti condividono), ma che con il Nobel a Dylan si incrina un’idea di letteratura che è nata dopo i trovatori e che è durata fino a oggi.

La nostra idea di letteratura, in Occidente, nasce infatti quando le opere scritte nelle lingue moderne raggiungono lo stesso livello di dignità culturale delle opere greche e latine e quando a scuola non si studiano più solo Virgilio e Cicerone, ma anche Dante, Petrarca e Boccaccio. Questo fenomeno va di pari passo con la separazione della poesia dalla musica. Si può discutere di quando si sia prodotta la frattura; si può precisare che per molto tempo il distacco non è stato netto, che probabilmente Dante faceva ancora cantare alcune delle sue poesie e che molta “poesia per musica” (da Monteverdi a Metastasio) è parte integrante di quello che chiamiamo letteratura. Ma fino a qualche tempo fa – e di certo prima del Nobel a Bob Dylan – quello che si intendeva per letteratura (moderna) era esattamente questo: l’insieme delle opere scritte in una lingua moderna e in particolare quelle sulle quali si impara a leggere e a scrivere. 

Già il caso di Dario Fo, vincitore nel 1997, aveva complicato un po’ il quadro, perché differenza di altri premi Nobel – che erano romanzieri, saggisti e anche drammaturghi, come Pirandello e George Bernard Shaw – ha scritto quasi solo per il teatro. Tuttavia, sebbene il teatro sia fatto per essere rappresentato e non solo per essere letto, da secoli l’altissima qualità letteraria di molti autori (Shakespeare, Molière, Racine, Goethe e via dicendo) ha trasportato di diritto il teatro nella letteratura. Ed è un dato di fatto che moltissime persone leggono il teatro invece di assistere agli spettacoli. Il Faust di Goethe, per esempio, è pensato innanzitutto come un’opera che fa parte della letteratura, un’opera da leggere più che un’opera da mettere in scena.

4. Quante persone invece leggono le canzoni di Bob Dylan slegate dalla musica? Non è tanto importante che la destinazione ideale del testo di Amleto sia la scena; è più importante che finora molte generazioni, e non solo di parlanti inglesi, abbiano letto Shakespeare ben prima di vederlo rappresentato. La stessa cosa si può dire per i trovatori: è vero che senza la musica si percepisce forse solo la metà della bellezza di quelle canzoni, ma il trascorrere del tempo le ha destinate prevalentemente alla lettura e non più all’ascolto (anche perché sappiamo ben poco di come venivano eseguite, mentre siamo più o meno sicuri di come fossero fatti i testi). Ed è questo uno dei motivi per i quali i trovatori fanno parte della letteratura. 

Nel caso di Dylan, sembra che la giuria del Nobel abbia voluto anticipare i tempi. Non so se si siano ripromessi di fare sì che le sue canzoni conseguano in futuro una certa autonomia rispetto alla musica. È infatti molto difficile, ma non impossibile, che ciò accada, considerato il ruolo di media come You Tube nella nostra vita quotidiana. Non riesco a immaginare che Dylan diventi un classico della letteratura così come la intendevamo ieri e che il pubblico inizi a leggerlo più che ad ascoltarlo. Mi aspetto piuttosto che lo statuto della letteratura muti ancora e che tra qualche anno il Nobel venga assegnato a un autore di graphic novels. Oppure a uno sceneggiatore, dato che ormai molti dei migliori scrittori – quelli che fino a poco tempo fa sarebbero diventati famosi come romanzieri – lavorano per il cinema e la televisione.

5. Quando ho scritto la prima versione di questo articolo ero convinto che Dylan avrebbe rifiutato il premio. Credevo sarebbe stato un segnale importante. Significherebbe, pensavo, che nonostante il mescolarsi dei linguaggi e il moltiplicarsi dei mezzi, lo statuto della letteratura, quella cosa che è scritta per essere letta (e non importa che lo si faccia su un libro o su un tablet), è ancora relativamente stabile.

Mi sbagliavo. Alla fine Dylan ha accettato e nel giugno del 2017 ha tenuto il discorso ufficiale, la sola condizione per ricevere il premio in denaro. Ma lo ha fatto a modo suo: lo ha registrato e caricato su You Tube 2. Dylan cita Omero, Melville, Shakespeare, spiega che lui e altri cantautori (songwriters) sono stati spesso influenzati dai grandi classici della letteratura anche senza sapere esattamente che cosa significavano, anche solo perché “suonavano bene” (di un passo di John Donne dice: “I don’t know what it means, either. But it sounds good. And you want your songs to sound good”) e conclude così:

That’s what songs are too. Our songs are alive in the land of the living. But songs are unlike literature. They’re meant to be sung, not read. The words in Shakespeare’s plays were meant to be acted on the stage. Just as lyrics in songs are meant to be sung, not read on a page. And I hope some of you get the chance to listen to these lyrics the way they were intended to be heard: in concert or on record or however people are listening to songs these days. I return once again to Homer, who says, “Sing in me, oh Muse, and through me tell the story.”

Le canzoni, secondo Dylan, sono diverse dalla letteratura e sono fatte per essere cantate e ascoltate, non per essere lette. Dunque dobbiamo ammettere che le canzoni non sono letteratura? 3 Forse Dylan si sbaglia, anche se scrive frasi memorabili come Our songs are alive in the land of the living. E forse proprio questo Nobel ci costringe a scegliere e a riconoscere che la letteratura (quella che finora è stata sancita come tale anche – non solo – dal Premio Nobel) è qualcosa di più complesso, qualcosa che si scrive e che si legge, che si canta, si interpreta, si ascolta e che comprende Omero, i trovatori, Shakespeare e Bob Dylan?

[La prima versione di questo articolo, col titolo ‘Perché il Nobel a Bob Dylan è una rivoluzione’, è uscita su “Le parole e le cose” il 18 ottobre 2016]