Gender, scuola e ideologia

Chi discute di ideologia dovrebbe farlo a partire dai significati correnti del termine. Non mi pare che sia andata così nel dibattito sul gender e il suo ruolo nella scuola.



1. Il termine ideologia ha diversi significati. C’è un’accezione filosofica (“l’analisi dei fatti di coscienza che non implica lo studio dell’anima”), c’è quella marxista (“l’insieme delle credenze religiose, filosofiche, politiche e morali proprie di una determinata classe sociale”) e c’è quella sociologica (“il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale”). Quest’ultima accezione coincide con l’impiego del termine che mi pare più diffuso nel linguaggio corrente: “il complesso dei presupposti teorici e dei fini ideali di un partito, di un movimento politico, sociale, religioso”. 1. È da qui che vorrei partire per ragionare sulle implicazioni ideologiche del gender.

2. Negli ultimi anni alcuni organismi italiani ed europei hanno diffuso a uso delle scuole dei documenti sull’educazione alla parità dei sessi, sul rispetto della diversità sessuale e delle differenze di genere. Un esempio è Educare alla diversità a scuola, realizzato nel 2013 dall’Istituto A.T. Beck su mandato dell’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, e distribuito in più versioni nelle scuole primarie, secondarie e superiori 2. C’erano state quindi immediatamente proteste – per la maggior parte scomposte e poco informate – da parte delle associazioni cattoliche e perfino papa Francesco e il cardinale Bagnasco si erano pronunciati contro l’introduzione nelle scuole di quella che veniva chiamata “ideologia gender“, dove per gender si intende la rappresentazione socio-culturale dell’identità maschile e femminile in quanto distinta dal sesso biologico (maschio, femmina).

La contro-replica pressoché unanime dei sostenitori dell’educazione alla differenza di genere era stata, a mio avviso, parecchio singolare (vedi almeno quiqui, e ancora qui). Quasi tutti avevano in primo luogo ritenuto necessario spiegare che non esiste una ideologia gender e che la reazione del mondo cattolico non avrebbe avuto quindi ragione di essere. Michela Marzano, su Repubblica, aveva più sottilmente notato come non esista «una, e una sola, “ideologia gender” ma un insieme eterogeneo di posizioni». Il che è vero, ma ciò che unifica inequivocabilmente questo insieme è la distinzione concettuale tra sesso e genere (l’esistenza di posizioni estremamente eterogenee non ha impedito, per esempio, che si potesse parlare di ideologia borghese). Era quindi un tema sensibile, come dimostra il fatto che il 16 settembre 2015 l’allora ministro dell’istruzione Stefania Giannini aveva disposto l’invio ai presidi di una circolare per precisare che la legge La Buona Scuola non introduceva la teoria del gender nelle scuole italiane.

3. Oggi il dibattito è ancora vivo e le posizioni in campo sempre le stesse: da una parte i cattolici che attaccano il gender anche e soprattutto in quanto ideologia e dall’altro i difensori che negano la natura ideologica del gender. Io – da laico – non ho intenzione di prendere parte al dibattito etico sul gender. Ma mi sembra innegabile che si possa parlare di ideologia, secondo l’accezione sociologica o secondo quella del linguaggio corrente. Per dimostrarlo, prendo in esame due testi molto diversi tra loro: un saggio scientifico e un pamphlet, scritti rispettivamente da un medico e da un filosofo. Cominciamo da Nicla Vassallo, professoressa ordinaria di Filosofia teoretica all’Università di Genova, che in un pamphlet apparso in una fortunata collana divulgativa di Laterza parte da una chiara distinzione tra sesso e genere 3:

poiché il sesso è una categoria biologica, mentre il genere è una categoria socioculturale, dissimile dalla prima, si commette un errore grossolano facendo coincidere la femmina con la donna e il maschio con l’uomo (e viceversa): errore, peraltro, non privo di conseguenze, giacché si negano, in questo modo identità, personalità, singolarità a ogni donna e a ogni uomo, fissando le caratteristiche dell’unica femmina/donna e dell’unico maschio/uomo, che i più riescono a immaginare o fantasticare, nella beata illusione di evitare il carattere contingente dell’appartenenza di genere e di catturare un’essenza femminile e un’essenza maschile atte a sottolineare la complementarità uomo/donna: con l’uomo attivo, culturale, mascolino, oggettivo, razionale da un lato, e la donna passiva, naturale, femminea, soggettiva, irrazionale dall’altro.

Leggendo questo passo credo non ci possano essere dubbi sull’esistenza di una teoria che distingue con chiarezza il sesso come categoria biologica dal genere (o gender) come categoria socio-culturale. Allo stesso modo, non mi pare ci sia bisogno di dimostrare la vocazione pratica e politica del pamphlet, il cui titolo (Il matrimonio omosessuale è contro natura. Falso!) è eloquente; Vassallo scrive per modificare la realtà, per creare e orientare un movimento di opinione che possa intervenire sulle decisioni politiche e legislative, come è chiaro già dalla Premessa (p. XVIII): 

[…] per scardinare i tanti pregiudizi sul matrimonio same-sex basta partire dalla necessità di eguaglianza (intesa come assenza di discriminazioni) e di equità (intesa come giusta distribuzione di benefici e responsabilità) tra gli esseri umani. Questo sarà il mio modo di procedere. Ma non è l’unico: considero valida anche l’opzione di sostenere la causa del matrimonio same-sex per il bene della nostra società, in quanto esso favorisce e promuove l’integrazione di persone, lesbiche e gay, a lungo ingiustamente emarginate, penalizzate, stigmatizzate.

È evidente che tale complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori è volto a orientare un determinato gruppo sociale. La distinzione teorica tra sesso e genere e l’idea che il genere non sia determinato dal sesso biologico è infatti posta a fondamento di una concezione plurale del matrimonio, laddove il matrimonio così come è inteso dalla Chiesa cattolica prevede quella complementarità tra uomo e donna basata sulla distinzione biologica tra maschio e femmina 4. Ed è importante che la difesa del matrimonio tra persone dello stesso sesso (“same-sex”) venga argomentata non solo sul piano del diritto e di valori come l’eguaglianza e l’equità, ma anche, e direi soprattutto, su quello della teoria gender (p. 97):

In termini filosofici, il matrimonio same-sex minaccia l’istituzione codificata del matrimonio stesso, infrangendo le basi biologiche e culturali (l’appartenenza sessuale e di genere) su cui sono stati elaborati e costruiti i ruoli fondativi di femmina/donna e di maschio/uomo.

 Se le parole hanno un peso, qui il gender è un’ideologia a tutti gli effetti.

4. Ancor più significativo è un saggio che parla invece di biologia. S’intitola In crisi d’identità e lo ha scritto Gianvito Martino, neurologo, dal 2016 direttore scientifico dell’Ospedale San Raffaele di Milano, membro di importanti associazioni scientifiche internazionali e autore di studi sulle cellule staminali del cervello. 5. Il libro è sia un compendio di biologia sia un saggio su alcune complesse e dibattute nozioni come identità, natura e, appunto, genere. Scrive Martino nell’Introduzione, dopo aver spiegato come negli ultimi anni siano andati in frantumi i dogmi che hanno retto la biologia per secoli (p. 3):

Vedremo dunque come la cellula possa decidere di cambiare forma e funzione, e quindi identità, anche quando assume la sua forma definitiva, considerata fino a poco tempo fa immutabile e irreversibile. Vedremo che il genere, cioè l’essere maschi o femmine, sia anch’esso soggetto a mutevolezze che possono addirittura stravolgerne il senso: in natura esistono certamente sia i maschi che le femmine, ma ci sono anche organismi bisessuali, multisessuali, intersessuali, o transessuali, la cui «dubbia» identità di genere diventa essenziale per la loro stessa sopravvivenza.

Cercare di generalizzare a partire da osservazioni che riguardano altre forme di vita è un compito in genere estremamente delicato, e tanto meno solido quanto più filogeneticamente lontane sono le forme di vita considerate. Se dall’analisi della cellula si passa a osservare le due specie geneticamente più simili all’uomo, lo scimpanzé e il bonobo, si noterà infatti che esse hanno comportamenti sessuali largamente divergenti (i bonobo hanno una vita sessuale più promiscua, e il ruolo del sesso nelle relazioni sociali è per essi molto più importante). Ciò vuol dire che, a partire dall’osservazione delle specie a noi più prossime (e si consideri anche che scimpanzé e bonobo sono tra loro ancora più vicini, geneticamente, di quanto lo siano all’uomo), è molto difficile esprimere giudizi sulla sessualità umana, anzi sulla sessualità umana nel XXI secolo. Che cosa si potrà allora dedurre dal comportamento delle cellule? Comunque sia, quello che più mi interessa è il fine politico e sociale che lo scienziato si propone (p. 3):

Vi racconteremo quindi di comportamenti biologici assolutamente naturali che però spesso, ahinoi, vengono bollati come ‘contro natura’ ma solo da chi è, in realtà, ‘contro la natura’ poiché alimenta congetture singolari con il fine ultimo di ingenerare uno scontro ideologico di tipo sociale più che un incontro dialogico di tipo naturale.

Il neurologo, come la filosofa, è pienamente implicato nell’ideologia gender: stabilisce cioè un legame profondo tra un complesso di idee e la sua traducibilità sociale e politica. E non credo si possa negare l’intenzione di orientare il lettore. 

5. Si potrebbe ovviamente obiettare che, a differenza di quanto accade con ideologie storicamente riconosciute e relativamente strutturate come quella socialista o borghese, nel caso del gender non sembrerebbe possibile individuare un gruppo sociale definito né tantomeno una classe che si faccia interprete di tale complesso di valori. Forse non esattamente un gruppo, certamente non una classe, ma un movimento direi di sì. Basta tornare a leggere Vassallo per comprendere che il movimento sociale che si riconosce nell’ideologia gender è costituito principalmente, o tende a essere costituito nelle intenzioni degli ideologi del movimento, da tutte quelle «persone, lesbiche e gay, a lungo ingiustamente emarginate, penalizzate, stigmatizzate». Che anche uno scienziato condivida i presupposti della teoria gender è solo una ulteriore conferma dell’esistenza di un vasto movimento sociale che riesce a influenzare anche chi ne è apparentemente molto distante.

E la cautela del mondo cattolico potrebbe rivelarsi in parte legittima, dato che la scuola sembra effettivamente al centro degli interessi della teoria gender. Infatti, come si legge in un saggio che si propone di Ripensare la relazione educativa in ottica di genere 6:

all’interno del paradigma socio-costruzionista che definisce il “genere” come quel carattere socialmente costituito e appreso dell’esperienza della maschilità e della femminilità, gli ambiti educativi sono diventati i tempi e i luoghi privilegiati di tali processi di costruzione, trasmissione e apprendimento. In altre parole, la scuola si è trasformata in uno spazio decisivo per la costruzione dell’identità di genere all’interno del processo di socializzazione secondaria.

Certo, ciò non dovrebbe consentire agli avversari del gender (specie ai politici, spesso impreparati ad affrontare questioni complesse) di generalizzare e di scagliarsi contro nemici immaginari, come accade molto spesso con la pubblicistica anti-gender, solitamente di basso livello e in vario modo influenzata dal paradigma della Teoria del Complotto. Nella Buona Scuola (Legge 13 luglio 2015, n. 107) si parla ad esempio di promuovere l’«educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni» (art. 1 comma 16); sarebbe difficile dimostrare che nell’espressione “violenza di genere” il termine genere non sia utilizzato nel significato più comune di “carattere maschile o femminile dell’individuo”, senza quindi alcun riferimento esplicito alla distinzione tra sesso e genere che è alla base dell’ideologia gender.

6. Ma perché la definizione di ideologia viene respinta con tanta forza? In teoria, infatti, dovrebbe essere legittimo rivendicare la natura ideologica di un complesso di valori. Tuttavia, in italiano il termine ideologia possiede oggi una sfumatura perlopiù negativa, dovuta probabilmente alla fortuna, anche scolastica, della definizione marxista. Ora, come si è visto, nel momento in cui esprime con più chiarezza le proprie finalità politico-sociali, uno scienziato che affronta il tema dell’ideologia classifica l’opinione di chi considera determinati comportamenti sessuali “contro natura” come «congetture singolari con il fine ultimo di ingenerare uno scontro ideologico di tipo sociale più che un incontro dialogico di tipo naturale». Evidentemente lo scienziato non ritiene che le posizioni da lui sostenute siano a loro volta ideologiche: dal suo punto di vista la negazione dell’esistenza di una identità di genere definita è un dato scientifico, non un’opinione. Chi rifiuta tale conclusione è contro la scienza, cioè dalla parte dell’ideologia. L’impianto retorico sembrerebbe quindi del tutto sovrapponibile alla vulgata del materialismo storico, che si pretende consapevole, realistico e scientifico in opposizione all’ideologia intesa come rappresentazione della realtà imposta dalla classe dominante (e infatti il matrimonio “same-sex”, secondo Vassallo, «sovverte l’ordine sociale», p. 97).

Direi allora che il rifiuto della definizione di ideologia intende sancire la verità della teoria. E, se la teoria è vera perché scientifica, sarà vero, scientifico e ineluttabile il sovvertimento dell’ordine sociale? Chi difende il gender non può limitarsi a negare l’esistenza di un’ideologia; deve anche prendere atto che la teoria, nelle intenzioni degli ideologi, ha una serie di implicazioni che si deve essere pronti ad accettare fino in fondo.

7. Definire il gender un’ideologia (ed eventualmente mettere in dubbio che la distinzione tra sesso e genere sia utile e soprattutto valida sul piano scientifico) non vuol dire negare che oggi nella scuola (ma anche nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana) vi siano ancora diseguaglianze, violenze e discriminazioni che sono legate anche alle differenze di genere e che vanno affrontate e risolte. Ma non credo che lo Stato sia obbligato ad accettare le implicazioni ideologiche della teoria gender per ristabilire l’equità e l’eguaglianza.

[La prima versione di questo articolo è uscita su “Le parole e le cose” il 21 settembre 2015]