[Tra un po’ uscirà la seconda edizione rivista del mio “Dante, nostro contemporaneo” (Castelvecchi). Pubblico qui una versione leggermente modificata di uno dei capitoli finali.]
1. L’idea di poesia è molto cambiata rispetto all’età di Dante. E in particolare è mutata la percezione del rapporto tra forma e contenuto. La nostra visione è generalmente molto simile a quella del premio Nobel per la Letteratura del 2016, Bob Dylan, che rifiuta sempre di rispondere a domande sul significato delle sue canzoni.
«Non dipingetemi come un uomo con un messaggio», ha dichiarato, «Tutto quel che posso sperare di fare è cantare quello che penso» 1. È un concetto simile a quello che Wystan Auden esprime in In memory of W.B. Yeats, scritta per la morte del poeta irlandese 2:
perché la poesia nulla fa accadere: sopravvive / nella valle del suo farsi, dove i capiufficio / non oserebbero mai ficcare il naso; scorre verso sud / da fattorie d’isolamento e di angosce indaffarate, / spoglie città in cui crediamo e moriamo; sopravvive, / un modo di accadere, una bocca.
[For poetry makes nothing happen: it survives / In the valley of its saying where executives / Would never want to tamper; it flows south / From ranches of isolation and the busy griefs, / Raw towns that we believe and die in; it survives, / A way of happening, a mouth.]
Questa è la percezione dei poeti; ma è anche la posizione di molti filosofi. Persino uno dei pensatori più profondi del Novecento, il colombiano Nicolás Gómez Dávila, generalizzando, sbaglia; per lui la poesia è infatti «il trofeo linguistico di una disfatta spirituale» 3.
Ma queste parole non hanno senso se applicate alla Commedia, né al personaggio né all’uomo Dante, che aveva subito molte sconfitte politiche, e forse anche ideologiche, ma non certo spirituali. La Commedia è un trofeo della lingua e della poesia e, allo stesso tempo, un trofeo dello spirito.
E sbaglia in fondo anche il poeta russo Osip Mandel’štam, quando utilizza questa concezione di poesia 4:
Immaginate un monumento di granito eretto in onore del granito e, si direbbe, col proposito di rivelare l’idea di granito: avrete così un’immagine abbastanza chiara del rapporto che si stabilisce in Dante tra forma e contenuto.
Immagini suggestive, ma difficilmente applicabili a Dante. Questa idea della prevalenza della forma sul contenuto è però diffusa. In un saggio dantesco di qualche anno fa si trovava ad esempio in epigrafe una frase che il poeta Mallarmé avrebbe rivolto al pittore Dégas e che è riferita da un altro poeta, Valéry. Un giorno Dégas avrebbe detto infatti a Mallarmé: «Il vostro lavoro è infernale. Io non riesco a fare quello che voglio, eppure sono pieno di idee». E Mallarmé avrebbe risposto: «Non è con le idee, mio caro Dégas, che si fanno i versi. Si fanno con le parole» 5.
Tuttavia, Dante non proclama mai la purezza della poesia in senso moderno. La Commedia non è un monumento al granito: se vogliamo riutilizzare l’immagine di Mandel’štam, potremmo guardare piuttosto al poema come a un perfetto monumento di granito in lode di Dio e dell’uomo, in onore della possibilità della coincidenza tra Dio e uomo, dell’idea che l’uomo possa tendere alla perfetta conoscenza del divino. Un’idea che non è di per sé eretica o eterodossa, perché, sebbene Dante aspiri a una conoscenza analoga a quella dei mistici o dei contemplativi, non solo a quella dei teologi come san Tommaso, il personaggio di Dante compie il viaggio ultraterreno per tornare al mondo e all’individuo, a differenza dei mistici che, secondo Simone Weil, «hanno sempre mirato a ottenere che nella loro anima non vi fosse più neppure una parte che dicesse ‘io’» 6.
2. Per Dante, insomma, i versi di Auden («Perché la poesia nulla fa accadere») non avrebbero avuto senso. Se Dante, come io credo, ha davvero scritto l’Epistola a Cangrande (una lettera in latino che spiega la struttura e il significato del poema), il fine della Commedia è quello di rimuovere le anime dallo stato di peccato («il fine del tutto e della parte è rimuovere i viventi dallo stato di infelicità in questa vita, e di guidarli allo stato di felicità»; Epistole, XIII 15 39) 7. Dante lo spiega nel poema, quando immagina di farsi dire da Beatrice:
Però, in pro del mondo che mal vive, / al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, / ritornato di là, fa che tu scrive. (Purgatorio, XXXII 103-105)
In questi versi Beatrice gli chiede di fissare il carro («al carro tieni or li occhi») che rappresenta la Chiesa nella scena allegorica alla fine del Purgatorio; e gli dice di scrivere quello che ha visto nell’aldilà, una volta ritornato nel mondo dei vivi («e quel che vedi, / ritornato di là, fa che tu scrive»). Ma deve farlo «in pro del mondo che mal vive», cioè “nell’interesse di tutti coloro che peccano”.
Questa idea viene ribadita nel Paradiso, quando Dante incontra l’avo Cacciaguida, morto in crociata come un martire, e gli fa dire:
Ché se la voce tua sarà molesta / al primo gusto, vital nodrimento / lascerà poi, quando sarà digesta. (Paradiso, XVII 130-131)
Cacciaguida paragona la Commedia stessa («la voce tua») a una pietanza che al primo assaggio è sgradita («molesta») ma che poi, una volta digerita («digesta»), lascia un «vital nodrimento», vale a dire un sostentamento utile alla vita. La funzione della Commedia non sembrerebbe quindi diversa da quella delle prediche medievali, nelle quali la descrizione delle pene dell’inferno serviva a spingere i fedeli alla penitenza 8.
Per Dante, quindi, vale il contrario di quello che scrive Auden. Potremmo dire che per lui “la poesia qualcosa fa accadere”, poiché la poesia ha un fine. La Commedia è fatta di parole e di idee e Dante è un uomo con un messaggio. E la cosa più sorprendente è che questa poesia che “qualcosa fa accadere” esiste ancora oggi, benché i poeti, quando riflettono sulla poesia, accolgano perlopiù l’idea di poesia formale: le canzoni di Dylan, in fondo, fanno accadere qualcosa, o almeno hanno fatto accadere qualcosa tra gli anni Sessanta e Ottanta.
E ancora Dylan ha scritto, in uno dei suoi pochi testi senza musica 9:
io non riesco a credere di dover / odiare qualcuno / e se lo farò / lo farò solo per paura / e lo saprò / non conosco risposte né verità / assolutamente per nessuna anima viva / non presterò ascolto a nessuno / che mi dica qual è la morale / non esistono morali / e io sogno molto.
[I can’t believe that I have / t’ hate anybody / an’ when iI do / it will only be out of fear / an’ I’ll know it / I know no answers an’ no truth / for absolutely no soul alive / i will listen t’ no one / who tells me morals / there are no morals / an’ i dream a lot]
Queste frasi, riferite a Dante, andrebbero tutte rovesciate: Dante credeva di dover odiare qualcuno, e odiava non solo per paura, ma per coerenza ideologica; conosceva risposte e verità e riconosceva delle precise autorità morali. Ed era certo che la morale esistesse.
3. Il paradosso non sta nel fatto che l’idea di poesia sia mutata da Dante a Dylan. Questo è anzi scontato. Il paradosso è che si cerchi di leggere Dante attraverso un’idea di poesia che non è la sua, come ha fatto Mandel’štam e con lui moltissimi altri. Per trovare in epoca contemporanea qualcosa di paragonabile a Dante non bisognerebbe guardare a Valery o a Auden, ma piuttosto a Bertold Brecht (1898-1956), che in una poesia intitolata Su una radice di tè cinese in forma di leone (Auf einen chinesischen Theewurzellöwen), ci spiega il suo modo di concepire l’arte 10
I cattivi temono il tuo artiglio. / I buoni s’allietano della tua grazia. / Altrettanto vorrei sentir dire / dei versi miei.
[Die Schlechten fürchten deine Klaue. / Die Guten freuen sich deiner Grazie. / Derlei / Hörte ich gern / Von meinem Vers.]
Anche Dante, come Brecht, scriveva affinché i cattivi temessero le sue unghie, affinché i buoni (e i buoni lettori) si rallegrassero della sua grazia. Eppure, i poeti più famosi del Novecento condividono l’idea di Dylan. Nel 1975, nel discorso tenuto all’Accademia di Svezia in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel per le Lettere, Eugenio Montale diceva per esempio: «io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà» 11.
E la poesia forse più famosa di Franco Fortini, Traducendo Brecht, esprime esattamente questa visione della poesia come un prodotto inutile che Dante non avrebbe potuto condividere 12:
Scrivi mi dico, odia / chi con dolcezza guida al niente / gli uomini e le donne che con te si accompagnano / e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici / scrivi anche il tuo nome. Il temporale / è sparito con enfasi. La natura / per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
L’idea di poesia di Dante – una poesia che muta gli uomini, una poesia con un messaggio, una poesia che qualcosa fa accadere – appartiene a un’epoca molto distante dalla nostra, e distante non solo nel tempo. Ma se nella Commedia c’è un equilibrio, un intreccio profondo tra forma e contenuto che a Dante interessava molto, è su questo contenuto profondo che dobbiamo ragionare, questo contenuto che non va separato dalla forma.
Notes:
- Il passo è citato in Ralph J. Gleason, La crociata dei bambini, in Parole nel vento. I migliori saggi critici su Bob Dylan, a cura di Alessandro Carrera, Interlinea, Novara, 2016 (I ed. 2008), pp. 41-56). ↩
- Wystan H. Auden, Un altro tempo, edizione con testo a fronte di N. Gardini, Adelphi, Milano, 2004, pp. 179-81 (traduzione mia). ↩
- Nicolas Gómez-Dávila, In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano, 2001, p. 105. ↩
- Osip Mandel’štam, Conversazione su Dante, a cura di R. Faccani, Il melangolo, Genova, 1994, p. 66. ↩
- Prue Shaw, Reading Dante. From Here to Eternity, Liveright, New York-London, 2014. Lo scambio di battute è riferito in Paul Valéry, Poésie et pensés abstraite, in Id., Œuvres, Gallimard, Paris, 1957-1960, II, p. 1324). ↩
- Simone Weil, La persona e il sacro [1943], Milano, Adelphi, 2012, p. 19). ↩
- Dante Alighieri, Epistole. Egloge. Questio de aqua et terra, a cura di M. Baglio, L. Azzetta, M. Petoletti e M. Rinaldi, introduzione di A. Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2016, p. 369. ↩
- Cfr. Giuseppe Ledda, Leggere la Commedia, Il Mulino, Bologna, 2016, pp. 121-123. ↩
- (Da Some Other Kinds of Songs…, poesie stampate sul retro della copertina di Another Side of Bob Dylan, 1964. ↩
- Bertold Brecht, Poesie e canzoni, A cura di R. Leiser e F. Fortini, con una bibliografia musicale di G. Manzoni, Torino, Einaudi, 1959, pp. 412-13. ↩
- Eugenio Montale, Sulla poesia, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1976, pp. 5-14, a p. 7. ↩
- Franco Fortini, Tutte le poesie, A cura di Luca Lenzi, Milano, Mondadori, 2014, p. 238. ↩
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