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Letteratura, scuola, società

Sulla rabbia

11 maggio 2020

Dopo due mesi di isolamento, mi accorgo di provare un sentimento nuovo: la rabbia. Perché? In fondo sono un privilegiato: insegno all’Università, posso continuare a fare il mio lavoro e mi pagano lo stesso. La mia famiglia sta bene e non conosco direttamente nessuno che si sia ammalato o che sia morto. Vivo a Roma e gli amici e i conoscenti stanno vivendo un’esperienza sostanzialmente simile alla mia, anche nel privilegio: quasi tutti sono accademici o dipendenti pubblici e privati e nessuno di loro si è ritrovato senza lavoro o ha dovuto chiudere un’attività.

Quindi la mia sensazione di malessere è quella di molti, anzi meno grave e intensa di quella di tantissimi altri in Italia e nel mondo. E questa sensazione dipende sostanzialmente dall’obbligo di restare in casa e dal non poter fare le cose che facevo normalmente. Ma anche dalla difficoltà di fare quello che la nuova situazione impone, ad esempio gestire bene la didattica a distanza e i rapporti con gli studenti, riuscire a fare ricerca e finire di scrivere un libro con le biblioteche chiuse. E inoltre, ovviamente, dall’ansia e dalla preoccupazione individuale e collettiva per quello che accadrà: sapremo gestire la fase 2? Potrò andare in vacanza? Ci sarà presto un vaccino? In inverno il virus tornerà? Come sarà la vita nei prossimi mesi e anni? Andremo al cinema, a ballare, al ristorante? Ci saranno ancora fondi per fare ricerca su Dante?

Insomma, le mie preoccupazioni sono quelle di tutti, e in effetti avrei meno motivi di tante altre persone per essere preoccupato. Certo, c’è anche il dolore per la sorte degli altri, per i malati, per i morti, per quelli che hanno perso il lavoro e per quelli che lo perderanno, ma – devo ammetterlo – in posizione secondaria rispetto alla preoccupazione per il mio destino.

Ma allora perché questa costante sensazione di rabbia? La prima causa che riesco a isolare è l’impotenza, che si concretizza nel timore che quello che faccio possa non servire a nulla se non lo fanno anche tutti gli altri, nella certezza che i comportamenti individuali sono importanti e nell’altrettanto lampante evidenza che quei comportamenti non valgono nulla se tutti si comportano diversamente.

E quindi riesco forse a mettere a fuoco cos’è che genera la rabbia: vedere che sempre più persone interpretano le regole secondo il loro comodo. Posso andare a fare una passeggiata? Chiaramente no, sulla base dell’ultimo decreto: ma una passeggiata, se faccio finta di fare attività sportiva o motoria, è consentita, e allora vado al parco a leggere oppure in piazza e mi siedo a chiacchierare. Oppure: se posso andare dai parenti, che motivo c’è per non andare dagli “amici fraterni”? E allora vado a cena dagli amici. E così via.

Per carità, tutti sbagliamo, tutti abbiamo violato queste regole più o meno chiare e più o meno esplicite che ci sono state imposte in questi mesi e se le abbiamo rispettate è stato soprattutto perché avevamo paura della legge e della morte. Certo, si potrebbe obiettare che queste sono le due ragioni principali per cui funzionano le istituzioni: una percentuale relativamente bassa di persone, perlomeno in Italia, rispetta le regole in quanto tali. Ma che cosa accadrà quando, in un paese non totalitario come il nostro, la paura della legge e della morte sarà meno intesa?

In Italia, lo sappiamo, alcuni rispettano le regole e altri no, alcuni pagano le tasse e altri non le pagano. E il moralismo, in questa sfera, è un privilegio di chi non ha problemi a pagare le tasse, di chi non ha difficoltà a lavorare agilmente chiuso in casa. Ma c’è anche altro in gioco: l’ingiustizia, l’iniquità. Perché quando mi accorgo che persino un amico o un conoscente si comporta con estrema leggerezza e viola le regole che invece io cerco di seguire, ho la sensazione di essere stato fregato. È la sensazione che hanno i genitori dei bambini vaccinati in una classe in cui ce ne sono due o tre non vaccinati; la sensazione che i genitori dei bambini non vaccinati si stanno approfittando di loro perché danno ai propri figli il vantaggio di trovarsi in una classe in cui è più difficile ammalarsi perché la maggioranza è vaccinata e hanno anche il lusso apparente, ma dal loro punto di vista reale, di non incorrere nei rischi (minimi) della vaccinazione.

Insomma, la minoranza che va a cena a casa degli amici, che va in montagna, che fa l’aperitivo sulla spiaggia in questo momento ha un doppio vantaggio: quello di fare qualcosa di bello che ovviamente anche tutti gli altri vorrebbero fare e che invece non fanno; e quello di poterlo fare proprio perché la maggioranza non si comporta allo stesso modo. Chi viola le regole non può infatti non rendersi conto che se tutti contemporaneamente andassimo a Villa Borghese o sul Lungomare di Mergellina avremmo tutti – anche loro – qualche possibilità in più di ammalarci (perché il virus, l’11 maggio 2020, non è ancora sparito). E in fondo hanno anche un altro privilegio non trascurabile, proprio come gli anti-vaccinisti: quello di poter criticare le regole. È un paradosso: dove le misure di prevenzione hanno bloccato l’ondata si tende a mettere in dubbio l’utilità delle misure stesse.

Ma che cosa accadrà quando non avremo più paura, quando la minoranza diventa maggioranza?

(Queste righe le ho scritte di getto dopo essere stato svegliato di soprassalto dalla scossa di terremoto la mattina dell’11 maggio: la rabbia si accompagna sempre alla paura).

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  1. Agostino Casu

    Eh no, la cena dagli amici è troppo osare, perdoni. Mio fratello, accademico anche lui, per ora non mi ha voluto incontrare neppure all’aria aperta. Forse teme di aprire alla licenza di uccidere prima di avermi diseredato en bonne et due forme. Passeggiate invece sempre, avendo autoattestato “moto giornaliero dietro indicazione medica”, e poi i lungarni erano vuoti (ho scoperto che la FAZ, per spiegare al pubblico tedesco come funzionasse l’autocertificazione italiana, dovette costruire il sostantivo Ausnahmeselbstgenehmigung… vede che nelle mani di Carl Schmitt un simile attrezzo lessicale sarebbe stato pericolosissimo). Un saluto da Firenze.

  2. Alessandro

    Una riflessione interessante soprattutto per la sua spontaneità. Secondo me merita un aggiornamento alla luce dell’anno e più trascorso.

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