[Ieri è morto Marc Fumaroli (10 giugno 1932 – 24 giugno 2020). Nel dicembre del 2005 tenne un ciclo di conferenze all’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli e concesse a Marco Viscardi e me questa intervista, che uscì su “Napolipiù” il 23 dicembre. ]


“Molto oramai ti ho detto, come se tu fossi presente”, scrive Francesco Petrarca indirizzando a Omero una delle lettere Familiari. Le epistole rivolte agli antichi, apud superos, “dal mondo dei vivi”, come quelle spedite agli amici presenti, insieme ai trattati latini nei quali si delinea la figura dell’intellettuale solitario, lieto nella solitudine dell’intelligenza, creano la prima germinale immagine della “res pubblica litteraria”, della Repubblica delle Lettere. Un luogo dove dialogano – attraverso le parole, gli scritti, le opere – i vivi, i morti, coloro che verranno.

Marc Fumaroli, Accademico di Francia, autore di numerose importanti opere sulla letteratura e la società europee dal medioevo all’età moderna, fra le quali ricordiamo L’età dell’eloquenza, Lo Stato culturale e La scuola del silenzio, editi in Italia da Adelphi, ha dedicato al tema “Qu’est-ce que la Répubblique des Lettres?” un ciclo di conferenze tenute all’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli dal 12 al 15 dicembre. Il seminario, che rientra nel programma di studi della Scuola Europea di Studi Avanzati dell’Istituto Italiano di Scienze Umane, è stato presentato da Benedetta Craveri, docente di Letteratura Francese all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, autrice de La civiltà della conversazione e del recente e fortunato Amanti e Regine.

Da Petrarca ai circoli fiorentini d’epoca medicea, dal pioniere dell’editoria Aldo Manuzio al cosmopolitismo di Erasmo, fino al tramonto dell’ancién régime, Fumaroli narra la storia di una comunità senza confini, di una repubblica di spiriti e non di corpi, di un contratto sociale fondato sul vincolo dell’intelligenza e dell’amicizia. Lo abbiamo incontrato per discutere i passaggi fondamentali di un processo storico senza precedenti. 


Monsieur Fumaroli, che cos’è la Repubblica delle Lettere ?

“È molto difficile spiegare questo sintagma in poche parole. È una formula che stata utilizzata dagli umanisti del quattrocento e del cinquecento fino alla fine dell’età dei lumi per definire il loro distacco dalle vicende politiche, religiose e belliche della città terrestre. Per descrivere l’eventualità di una collaborazione sulla base dell’amicizia e di una comune devozione al bene comune dello spirito, della scienza, della poesia e della filosofia. Era un contratto privato, un legame non segreto ma quasi dissimulato alla società attiva e ignorante e a quella delle autorità pubbliche che cercano sempre di utilizzare gli umanisti per i loro fini. 

Si è trattato di una utopia?

“Non bisogna farne un’utopia: l’autonomia dei letterati e degli scienziati ha permesso un’identità europea su un piano molto alto e creativo nello stesso periodo in cui l’Europa era straziata da regimi differenti, da religioni differenti, da convezioni filosofiche differenti e anche, direi, condizioni sociali differenti: era una società gerarchica. Mentre non si chiedeva niente per essere membro della Repubblica delle Lettere, se non l’alta qualità, l’alta competenza. Non si chiedeva l’origine sociale, la fortuna, il successo economico e di pubblico. È uno schizzo molto schematico di una storia complicata; c’è un retroterra metafisico-religioso, un  retroscena filosofico e morale ma, insomma, anche schematizzata e riassunta è un fatto enorme della storia europea: la possibilità di collaborazione e cooperazione durante più secoli fra europei di nazioni differenti e di lingue differenti con statuti sociali differenti. Tutti legati da un civismo verso il bene comune che è il retaggio antico e il suo sfruttamento per lo sviluppo della società, della scienza, della letteratura e della poesia.”

Nel corso delle sue conferenze ha più volte affermato che la Repubblica delle lettere ha origini italiane, tuttavia dalle sue parole apprendiamo che l’idea di Repubblica delle Lettere è antitetica a quella di nazione.

Bisogna sapere che nell’antico regime l’idea di nazione non era ideologica, non era neanche politica: la nazione era soprattutto l’insieme delle persone nate in uno stesso posto sotto l’influenza del clima, sotto l’influsso degli astri, del cibo, della religione ecc. Elementi che hanno prodotto un tipo umano particolare che non è naturalmente il più perfetto ma che non è neanche il meno perfetto, e così c’è una letteratura degli spagnoli che definiscono se stessi, degli italiani, dei francesi, ecc. Poi c’è una letteratura polemica dei francesi che criticano gli italiani, degli spagnoli che criticano i francesi… Insomma, in questa concezione medicale e astrologica della nazione c’era la possibilità aperta di un dialogo. Nessuno cittadino di queste nazioni può rivendicare l’intera verità, ciascuno ha un punto di vista legato a un luogo geografico. L’importante è il dialogo fra tutte queste nazioni per creare una verità che si possa condividere.” 

L’idea della Repubblica delle Lettere è analoga a questo processo.

“Certo, essa è fondata sul principio che nessuno ha un sapere tanto enciclopedico o è così geniale da poter, da solo, penetrare fino in fondo il vero. L’uomo è sempre relativo, le sue doti possono essere grandi ma non sono dei doni divini. È soltanto la cooperazione, la collaborazione fra persone di vocazione diversa, di talento e capacità diverse che può forse definire un po’ meglio ciò che è vero. E non soltanto fra i contemporanei, ma fra generazione e generazione: c’è un dialogo non soltanto fra i viventi ma tra i viventi e i morti, fra i viventi e i futuri. La Repubblica Letteraria è qualcosa di simile alla comunione dei santi.”

Uno dei suoi libri più importanti è L’età dell’eloquenza

“Sì, ma sa, direi piuttosto un libro di gioventù…”

Ma è ancora un contributo fondamentale. È possibile immaginare oggi un’età dell’eloquenza o l’unica eloquenza che resta è quella del potere? È possibile oggi una Repubblica delle Lettere?

“La Repubblica delle Lettere esiste, ma è molto indebolita perché il potere, e non il potere con la P maiuscola ma il potere con p minuscola, il potere della televisione, dell’immagine fotografica, ha indebolito l’influsso e la capacità di persuasione della parola scritta o orale. Assistiamo a una disfatta della parola di fronte all’immagine. Oggi ci sono popoli interi che conoscono solo quello che hanno visto sullo schermo, che non hanno imparato a leggere, che non hanno imparato a meditare, a ritirarsi in sé stessi, e sono tutti fuori da sé stessi, nutriti da immagini che non vengono da sé stessi ma che sono ricevute dall’esterno.” 

Dunque esiste una Repubblica Letteraria…

“Naturalmente, ci sono ancora persone che scrivono con una certa serietà, con un certo impegno, ci sono editori che accettano di pubblicare, ci sono persone che leggono, ma sono una minoranza un po’ melanconica, mentre Aldo Manuzio poteva essere euforico perché pensava che con l’invenzione della stampa l’eredità scritta dell’antichità non poteva mai più perdere la sua autorità e la sua capacità di civilizzare gli uomini, di civilizzare l’Europa. Ricordo una pagina di Hugo, di Victor Hugo, un grande illuminista, che fa dire, con grande fierezza, a uno dei personaggi di Notre Dame de Paris che vede uno dei primi libri stampati, trovandosi davanti Notre Dame – la Bibbia dei poveri: “Questo libro ucciderà quello che vediamo”. Ed è un tema che Manuzio ha sviluppato nelle sue prefazioni, con grande orgoglio e con grande euforia: la lettera scritta distruggerà il potere del clero e dell’immagine. Ma ciò che accade oggi è che l’immagine ha ripreso un potere enorme che non avevano neppure le statue del medioevo o gli affreschi di Giotto.”

Rimane da chiedere se resta una speranza.

Ah sì, la speranza, voi volete sperare. Forse… non lo so. Non sono disperato, constato quello che accade in questo momento, siamo a mezzo corso e sembra che l’immagine abbia distrutto gran parte del potere della parola. Forse la parola reagirà. Forse c’è un avvenire per la Repubblica delle Lettere, ma è un fatto di fede, direi. Un atto di fede.”

Marc Fumaroli nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (dicembre 2005)

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