[A breve uscirà la seconda edizione rivista del mio “Dante, nostro contemporaneo” (Castelvecchi). Pubblico qui una versione leggermente modificata di uno dei capitoli.]


1. È proprio vero che Dante è stato addomesticato e reso noioso «da secoli di accaparramenti da parte delle istituzioni», sommerso dal nazionalismo, trasformato «in emblema della coerenza e dell’unità»? 1 Che il poeta è stato preso d’assalto dalla Chiesa, che attraverso di lui avrebbe tentato di veicolare i suoi dogmi ufficiali? E che «generazioni di italiani ignorano che Dante è profondamente eterodosso nelle sue concezioni religiose», mentre la Chiesa prescriveva la necessità di accettare docilmente il contenuto delle Sacre Scritture (lo avrebbe stabilito l’enciclica di Benedetto XV del 30 aprile 1921) 2? È davvero questa la ragione per la quale «i giovani italiani» non amano «il loro più grande poeta»? Per questo «lo rispettano, ma non lo amano»?


2. Questa visione è in parte verosimile. E se volessimo precisare i contorni dell’eterodossia di Dante si potrebbe ricordare la condanna al rogo della Monarchia, la cui tesi principale (che il potere dell’imperatore deriva direttamente da Dio e non passa attraverso il papa) era incompatibile con la dottrina e con la prassi politica della Chiesa di quei tempi. Ma non mi pare che questa eterodossia sia stata nascosta sotto il tappeto. È certamente vero che la Chiesa, in tempi recenti, ha cercato di assorbire Dante anche negando che tra il poeta e l’istituzione vi siano state delle profonde fratture, ed è comprensibile che ciò possa provocare irritazione; ma è altrettanto vero che così come è esistito un Dante guelfo, cioè un Dante addomesticato e reinterpretato a servizio della Chiesa cattolica, è esistito anche un fortunato Dante ghibellino, campione dell’indipendenza del potere temporale e difensore dell’impero.

Dante eterodosso, allora? Sì e no. Eterodosso nella misura in cui la nostra nozione di eterodossia coincide con quella medievale. Chi oggi afferma che Dante era eterodosso sembra voglia considerarlo un irregolare, un contestatore. Ma, benché alcune delle sue opinioni siano, dal nostro punto di vista e da quello della Chiesa dei suoi tempi, eterodosse, Dante voleva essere ortodosso. Infatti il protagonista della Commedia, alla fine del poema, supera un esame di ortodossia e dimostra di sapere e di volere accettare consapevolmente i principali insegnamenti della Chiesa.

Dante non era contro l’istituzione, era contro le persone concrete che l’avevano allontanata dalla retta via. E almeno in un caso la distinzione tra persone e istituzione è molto netta. Come tutti sanno, il poeta condanna più volte esplicitamente papa Bonifacio VIII, ritenendolo il principale responsabile della degenerazione della Chiesa e delle sue sventure personali. Eppure, nel canto XX del Purgatorio, nel ricordare l’episodio dello “schiaffo” di Anagni – quando il papa venne umiliato dagli emissari del re di Francia Filippo il Bello – Dante paragona esplicitamente Bonifacio a Cristo. Ma Dante non si contraddice. Secondo un modo di pensare tipico del Medioevo, distingue tra la ‘persona’ di Bonifacio, giudicata severamente, e la ‘funzione’ papale, che è invece sacra e intoccabile 3.


3. Il pregiudizio che definirei anti-ortodosso nasce probabilmente dall’idea che i lettori odierni – i giovani – possano appassionarsi a un autore antico solo se è un ribelle: contro la religione, contro la Chiesa, contro le istituzioni. Ad alcuni studiosi, e forse anche a qualche lettore, piace forse solo quel Dante che sembra tendere verso il libero pensiero, verso il sincretismo religioso, verso la contemporaneità. Ma Dante non è riducibile a nessuna categoria dell’oggi; e quello che dovrebbe interessarci di più è proprio la sua irriducibilità.

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Notes:

  1. Cfr. Teodolinda Barolini, Il secolo di Dante. Viaggio alle origini della cultura letteraria italiana, traduzione di G. Bernardi, Bompiani, Milano, 2012, pp. 16-17. E vedi anche l’intervista di Paolo Di Stefano sul Corriere del 31 maggio 2020: https://www.corriere.it/cultura/dantedi-giornata-dante-alighieri/notizie/dante-ribelle-ora-leggiamolo-56afab12-a34d-11ea-8193-03ffea7ed6db.shtml.
  2. «In verità Noi riteniamo che gl’insegnamenti lasciatici da Dante in tutte le sue opere, ma specialmente nel suo triplice carme, possano servire quale validissima guida per gli uomini del nostro tempo. Innanzi tutto i cristiani debbono somma riverenza alla Sacra Scrittura e accettare con assoluta docilità quanto essa contiene». Cito dalla traduzione italiana disponibile in rete: http://www.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_30041921_in-praeclara-summorum.html.
  3. Su questa distinzione, cfr. Ovidio Capitani, Una “debita reverentia” per Bonifacio VIII? (‘Pg.’ XX, 85-93 e ‘Pd.’ XXVII, 22-24), in Id., Da Dante a Bonifacio VIII, Roma, Istituto Italiano Storico per il Medioevo, 2007, pp. 81-93, e Marco Grimaldi, Canto XX. La regalità dei nuovi capetingi, in Lectura Dantis romana. Cento canti per cento anni (1914-2014), II. Purgatorio, A cura di E. Malato e A. Mazzucchi, Roma, Salerno Ed., 2014, to. II pp. 583-620.