1. Ci sono opere incompiute che leggiamo in una forma che gli autori non hanno voluto o fatto in tempo a definire, una forma ipotizzata dai filologi. Ci sono opere la cui forma originaria non è definibile con precisione, poiché le testimonianze superstiti – manoscritti, stampe, carte, appunti dell’autore – non sono completamente concordi ed è quindi necessario ricostruirla per mezzo di quella che si chiama una edizione critica. E ci sono poi opere come Petrolio, il romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini appena ristampato in una nuova edizione a cura di Maria Careri e Walter Siti (Garzanti, 2022).
Ritenuto da molti il testamento ideologico e spirituale dell’autore e da alcuni collegato direttamente alle cause della morte, che dichiarano esplicitamente di non voler raggiungere una forma stabile, Petrolio è un’opera che nella sua forma definitiva avrebbe dovuto presentarsi «sotto forma di edizione critica di un testo inedito», un Satyricon moderno (il titolo allude anche a Petronio), di cui «sopravvivono quattro o cinque manoscritti, concordanti e discordanti, di cui alcuni contengono dei fatti e altri no». Un metaromanzo filologico, come l’ha definito Aurelio Roncaglia – tra i maggiori filologi romanzi del Novecento – che nel 1992 supervisionò la prima edizione allestita da Maria Careri e da Graziella Chiarcossi.
Non è chiaro in che misura questo progetto sia stato attuato, ma a giudicare dall’appunto progettuale collocato all’inizio della cartella che ne raccoglie i materiali risulta che per Pasolini l’opera nota come Petrolio (ma anche sul titolo c’è qualche dubbio) avrebbe dovuto presentarsi come una “ricostruzione” di quel testo sulla base «del confronto dei vari manoscritti conservati», cioè propriamente una edizione critica, e avrebbe dovuto peraltro accogliere anche altri materiali: lettere dell’autore e degli amici, testimonianze giornalistiche, canzonette, illustrazioni dell’autore, documenti di vari natura.
Il principale problema critico che si pone a chiunque voglia leggere oggi Petrolio è quindi un filologico, poiché questo romanzo in forma di edizione critica è rimasto incompiuto ed è conservato in una cartella contenente una moltitudine di “appunti” (così definiti da Pasolini stesso), talvolta di difficile decifrazione. L’effetto cui Pasolini mirava era straniante: «Il carattere frammentario dell’insieme del libro – si legge ancora nell’appunto progettuale – fa sì per esempio che certi “pezzi narrativi” siano in sé perfetti, ma non si possa capire, per esempio, se si tratta di fatti reali, di sogni o di congetture fatte da qualche personaggio».
Petrolio è molte cose diverse: è – come si legge ad esempio sul sito Garzanti – «la storia di Carlo, borghese disposto a tutto pur di far carriera, cresciuto in un ambiente cattolico di sinistra e poi complice di un delitto di estrema destra»; è «la storia di un borghese che fa carriera all’Eni ed è contemporaneamente afflitto da una indomabile erotomania», come spiega Walter Siti (Cosa voleva dire davvero Pasolini con il suo Petrolio, «Domani», 1 marzo 2022, in rete), un borghese forse ispirato alla figura dell’economista e politico Francesco Forte, vicepresidente dell’ENI tra il 1971 e il 1975, scomparso lo scorso gennaio (si veda l’articolo di Alessandro Gnocchi, “Petrolio” e i misteri d’Italia. Forte: “Carlo? Sì, sono io”, «Il Giornale», 18 ottobre 2020, in rete). Ma è anche la vicenda di Carlo e del suo Doppelgänger (il protagonista si sdoppia presto in Carlo Polis e in Carlo Tetis), dove il primo è un «borghese ricco, colto; un ingegnere che si occupa di ricerche petrolifere; fa parte del potere, è integrato» e il secondo è «l’uomo dai caratteri cattivi», «il suo servo», fino a quando la situazione si rovescia, come si legge in uno degli schemi progettuali. È «una summa politica», secondo la testimonianza di Paolo Volponi; è «la cronaca in presa diretta di un’iniziazione», come ha scritto Emanuele Trevi, dove la trama politica è solo in superficie; è «il preambolo di un testamento, la testimonianza di quel poco di sapere che uno ha accumulato», come si legge nella lettera al “Caro Alberto”, cioè Moravia, che in questa nuova edizione è stata posta in apertura giudicando fededegno uno degli appunti di Pasolini. Ed è, secondo Walter Siti, il libro sul delitto Mattei (autunno 1962) che il presidente della Montedison Eugenio Cefis e i mafiosi siciliani erano convinti che Pasolini stesse scrivendo (e di questi cui parlava con gli amici, ad esempio Laura Betti) e che costituirebbe il «movente preciso» per l’assassinio dell’autore.
Ma tutti i misteri, tutte le contraddizioni, tutto il fascino del libro dipendono in fondo da un’impresa complicatissima: realizzare un’edizione critica al quadrato, l’edizione critica di un testo incompiuto cui l’autore avrebbe voluto dare la forma di una edizione critica.
2. Diciassette anni dopo la morte di Pasolini, nel 1992, l’impresa fu tentata per la prima volta e fu Aurelio Roncaglia a dettare le linee guida dell’edizione, pubblicata da Einaudi. Sebbene il progetto del metaromanzo non sia stato portato a termine, scriveva Roncaglia nella Nota filologica del ’92, «il fato ha sancito a modo suo, tragicamente, l’intenzione pasoliniana di trasformare la troppo materiale testualità in un complesso indefinito di virtualità». Il curatore dell’edizione si trovava quindi nella situazione immaginata da Pasolini e non poteva dunque non attenersi, «con commossa e reverente docilità, al suo dettato», pubblicando tutto quello che l’autore ha lasciato e astenendosi da ogni manipolazione. Petrolio non è d’altronde il primo metaromanzo filologico ideato da Pasolini. Negli ultimi mesi di vita, Pasolini aveva fatto in tempo a riorganizzare e avviare alle stampe La Divina Mimesis, un progetto di riscrittura della Commedia di Dante ideato molti anni prima cui aveva lavorato in momenti diversi, stampato però postumo.
Ebbene, la Nota dell’editore che Pasolini pone a conclusione dell’opera ci dà indicazioni utili anche per intendere il modo in cui avrebbe forse voluto strutturare Petrolio: «Questa non è un’edizione critica. Io mi limito a pubblicare tutto quello che l’autore ha lasciato. Il mio unico sforzo critico, molto modesto, d’altra parte, è quello di ricostruire il seguito cronologico, il più possibile esatto, di questi appunti». La Divina Mimesis è inoltre un’opera due volte postuma: perché di fatto stampata dopo la morte reale di Pasolini e perché in quella Nota Pasolini immagina che un biglietto a quadretti di un block-notes fosse stato ritrovato nella tasca della giacca del cadavere dell’autore fittizio, «morto, ucciso a colpi di bastone, a Palermo, l’anno scorso». Negli ultimi anni di vita Pasolini sembra dunque sedotto profondamente dal fascino dell’incompiuto, come dichiara il personaggio del pittore allievo di Giotto, interpretato dallo stesso Pasolini, alla fine della riduzione cinematografica del Decameron uscita nelle sale nel 1971: «Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?». E a ciò si aggiunge la passione per la filologia, solidificata dalla vicinanza con studiosi come Roncaglia e soprattutto Gianfranco Contini, che figura nell’Iconografia ingiallita della Divina Mimesis, forse anche perché Pasolini lo considera «il solo critico italiano i cui problemi sono stati i problemi letterari di Gramsci» (come scrive in una nota sulla Letteratura italiana. Otto-Novecento curata proprio da Contini), cui aveva intitolato la sua prima raccolta poetica, Le ceneri di Gramsci.
3. Maria Careri e Walter Siti, con l’ausilio di Graziella Chiarchiossi, hanno ritentato ora l’impresa di dare un ordine e una struttura alle 521 pagine, in parte dattiloscritte e in parte manoscritte, conservate in una cartella presso l’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze e raccolte con delle graffette in 25 fascicoletti «che riproducono l’originale divisione organizzata dell’autore». Di una parte di quelle pagine esiste una fotocopia realizzata entro la fine dell’estate del 1974, che rappresenta una redazione anteriore e che permette quindi di ricostruire l’ultima fase di scrittura. C’è poi un blocchetto di appunti di venti pagine manoscritte, pubblicato in appendice all’edizione. Per il resto, si sa che la scrittura è avvenuta in più tempi; che su quasi tutte le pagine ci sono molti interventi di correzione; che la cartella si apre con un elenco di autori e di opere, tre frontespizi con quelli che sembrano tre titoli alternativi (Vas, Romanzo, Petrolio), una Nota dell’autore e una delle varie scalette progettuali. Il romanzo vero e proprio è strutturato in Appunti (da 1 a 133), «con molte incoerenze legate a revisioni che comportavano spostamenti e aggiunte, non sempre portati a termine», e intercalati tra gli appunti e dopo il 133 vi sono diversi fogli con note e altri abbozzi progettuali. Come già nell’edizione del 1992, Careri (che è responsabile del testo e firma la Nota filologica, mentre Siti ha stabilito la struttura del libro), si pone «come obiettivo primario di rispettare la volontà dell’autore (anche se non definitiva), presentando però al lettore un testo nella sostanza fruibile». E come nell’edizione Einaudi si restituisce «fedelmente l’ultima redazione del romanzo» e si dà conto «della situazione del testo» attraverso una serie di simboli (dichiarati in apertura nell’Avvertenza) che segnalano: 1) il testo cancellato (in corpo minore); 2) il testo evidenziato dall’autore in previsione di una revisione non realizzata (posto tra mezze parentesi quadre); 3) i segni d’autore in vista di correzioni e integrazioni; 4) le varianti alternative tra le quali Pasolini non ha operato una scelta (poste in nota con richiami alfabetici); 5) le note d’autore (con richiami numerici tra parentesi tonde). In tal modo il lettore può leggere il testo secondo l’ultima volontà dell’autore anche quando quella volontà è indeterminata, per esempio quando Pasolini non sceglie tra varianti alternative o quando il testo cancellato è «essenziale per la comprensione del contesto» o «per la lettura e l’interpretazione di Petrolio» ed è quindi parso necessario lasciarlo sussistere. L’edizione non dà invece conto «di porzioni di testo eliminato o sostituito», integrando ad esempio sistematicamente nel testo, senza segnalazione, le correzioni a penna.
Ma l’edizione Garzanti è davvero nuova perché è stato effettuato un sistematico ricontrollo degli originali, con molte letture inedite e la correzione di vari refusi; perché molti più passi cancellati dall’autore sono stati ripristinati e stampati in corpo minore; perché è stato pubblicato integralmente il Block notes; perché molte pagine del dattiloscritto sono state riprodotte in facsimile; e anche perché Walter Siti ha realizzato un utile sistema di note di commento (oltre a una importante Postfazione). L’edizione di un libro nel quale «tutto […] – anche le lacune e le incongruenze», come scriveva Roncaglia, deve «essere considerato in un modo o nell’altro significativo, e dunque intangibile» pone problemi teorici di grande rilievo, ed è certamente auspicabile una futura edizione genetica, cioè un’edizione che si ponga l’obiettivo di rappresentare le diverse fasi compositive dell’opera.
Ciononostante, questa edizione si è già assunta un compito delicato e lo ha portato a termine in maniera impeccabile. Poiché, riprendendo ancora le parole di Roncaglia: «Quello che l’edizione di un testo insolito come Petrolio anzitutto richiede, per le particolarità accidentali e sostanziali dell’oggetto che si offre al lettore, è che ad esso lettore sia fornita sempre e con immediatezza la possibilità d’una esatta percezione dello stato del testo, delle varianti alternative su cui lo scrittore non ha operato una scelta, d’ogni vocabolo, inciso o passo contrassegnato da indicazione autografe d’incertezza e di provvisorietà; e nel contempo non venga disturbata, o lo sia il meno possibile, la possibilità d’una lettura scorrevole, lineare, libera da preoccupazioni filologiche e letterariamente godibile da tutti». Era necessario quindi nel 1992, e lo è ancora trent’anni dopo, «che la presentazione del testo riesca a conciliare […] le esigenze d’uno scrupoloso rigore esoterico con quello d’una massima apertura essoterica».
Non si può leggere Petrolio (come non si possono leggere i Quaderni del carcere o Il partigiano Johnny) senza la piena consapevolezza dello stato del testo e delle soluzioni adottate nell’edizione di riferimento. Il lettore ha il diritto di leggere un testo godibile e scorrevole, ma ha allo stesso tempo il dovere di conoscere il modo in cui il testo è stato costituito e di confrontarsi con una pagina anche tipograficamente diversa da quella di un romanzo perfettamente compiuto e licenziato dall’autore. Il corpo minore, le mezze parentesi quadre, il triplo apparato di note (filologiche, d’autore e di commento) non sono appendici da rimuovere e dimenticare: fanno parte del testo, perché il testo non esiste senza l’apparato.
4. Tra le molte novità di questa edizione c’è il recupero di alcune sezioni di testo cancellato. Una delle più importanti è il paragrafo intitolato Per la carriera di Carlo (pp. 420 e 421 del dattiloscritto), datato agosto 1974, escluso dalla precedente edizione interpretando alla lettera l’indicazione posta tra parentesi, alla fine: «Appunto da distruggere». Walter Siti ha infatti persuasivamente sostenuto che tale indicazione possa essere interpretata invece come parte «di quel gioco metafilologico di cui Pasolini stesso parla nel progetto riassuntivo del libro», notando inoltre come la notazione sia scritta a macchina e risulti coeva all’appunto e non sia stata aggiunta a penna «come capita spesso, nel manoscritto, per le correzioni e i ripensamenti». In quest’ottica, il paragrafo è stato reintrodotto e posto nell’Appendice 1, assieme alle note e agli abbozzi che seguono l’ultimo degli appunti numerati.
Il recupero è di estrema importanza, come nota Siti, poiché qui si ipotizza che il protagonista di Petrolio, Carlo, aiuti Eugenio Cefis nell’assassinio di Enrico Mattei, che segua Cefis alla Montedison (di cui Cefis diventa presidente nel 1971) e partecipi poi all’eliminazione dello stesso Cefis. Benché le trame politiche siano solo una minima parte dello scheletro del romanzo giunto fino a noi e benché dovesse essere ragionevolmente il tema «del fascino consumistico e della possessione sessuale, intesa come opposizione tra possedere ed essere posseduti» il nucleo principale della narrazione, come spiega Siti nella Postfazione, «se qualcuno è arrivato a uccidere, vuol dire che aveva saputo del progetto pasoliniano e ne era spaventato: ha creduto che uno dei più ascoltati intellettuali italiani, inesauribile innesco di polemiche, avrebbe scritto chiaro e tondo in un suo romanzo che l’assassinio di Mattei era stato voluto e organizzato da Cefis, con il supporto della mafia siciliana». I mafiosi, secondo Siti, non potevano immaginare il complesso risultato che Pasolini avrebbe voluto pubblicare; Petrolio, quindi, sarebbe «costato la vita al proprio autore per un maledetto intreccio di indiscrezioni, ignoranza e malinteso». Di conseguenza, «contro la vulgata di chi afferma che Pasolini fu ucciso dal discredito che gli era stato creato attorno, dalla macchina del fango che lo aveva colpito», bisognerebbe «ammettere che gli assassini avevano invece sovrastimato la sua influenza e l’intelligenza delle masse».
Una tesi forte ma non nuova, che Siti ripropone tuttavia autorevolmente con il supporto della rinnovata edizione e dei materiali riprodotti in appendice, quei discorsi – ben noti a Pasolini e che avrebbero dovuto trovare posto nella forma definitiva del libro – nei quali Cefis, come spiega Paolo Morando, «davanti a un consesso di militari propugna la propria fede non nella Repubblica nata dalla Resistenza […], bensì nel potere superiore di oscure entità sovranazionali votate solo al profitto» (Cosa non torna nella leggenda di Cefis e della morte di Pasolini, «Domani», 14 luglio 2021, in rete). Cefis avrebbe quindi incarnato quel potere oscuro che precipitava l’Italia, con le strategie dell’eversione, nella mutazione antropologica descritta da Pasolini nelle opere saggistiche e in particolare nel celebre articolo sulla “scomparsa delle lucciole”, pubblicato con il titolo Il vuoto del potere in Italia nel febbraio del 1975 (e poi negli Scritti corsari). Qui Pasolini denunciava l’inconsapevolezza della classe politica italiana in una fase storica in cui la Chiesa, la patria, la famiglia, l’obbedienza, l’ordine, il risparmio, la moralità, i «”valori” nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più», mentre il potere reale, il potere dei consumi, «il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche».
Eppure, non tutto torna in questo schema in cui Cefis teorizza e auspica un modello politico ed economico antidemocratico. Morando, che a Cefis ha dedicato di recente una bella monografia (Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri, Laterza 2021), nota ad esempio che il presidente della Montedison, specie in un quarto discorso non incluso nell’edizione di Petrolio, proprio come Pasolini metteva in realtà in allarme i suoi ascoltatori sulla mutazione politica ed economica in atto: «Io non dico che questa prospettiva di svuotamento degli Stati nazionali e di annullamento di quell’insieme di valori ideologici, storici e tradizionali che essi hanno rappresentato sia la prospettiva migliore e auspicabile. Dico solo che siamo di fronte a una tendenza di fatto della società moderna che potrà essere conciliata con quegli stessi antichi valori soltanto se il potere politico nazionale sarà in grado di rispondere alla sfida dell’economia rinnovando profondamente il proprio ruolo». E in un quarto discorso del settembre 1974 tenuto a un raduno di ex partigiani, forse ignoto a Pasolini, parlava della «naturale e logica conseguenza della fase di rapido e diffuso cambiamento che hanno conosciuto i costumi e la vita del nostro popolo». Tutto, tra l’altro, alla luce del sole, visto che quei discorsi erano stati pubblicati. Dovremmo dunque ritenere perlomeno azzardato, conclude Morando, sostenere «anche solo implicitamente» che la morte di Pasolini si spieghi unicamente con il collegamento tra Petrolio e Cefis.
Tanto più se un’immagine ambivalente di Cefis – che ragiona sullo sviluppo delle multinazionali e, illustrando gli aspetti positivi e negativi della trasformazione in atto, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra multinazionali e stati nazionali, ritiene che «nel bene e nel male, il nostro futuro sarà in larga misura determinato dalle iniziative di questi grandi organismi economici» e che «se le forze operanti a livello nazionale non riusciranno a tenere il passo dello sviluppo economico e dei suoi problemi, assisteremo a un progressivo svuotamento del potere politico nazionale» (dal discorso La mia patria si chiama multinazionale, certamente noto a Pasolini) – parrebbe più in linea con quello che sappiamo del progetto di Petrolio: il romanzo di un uomo e del suo doppio, «o il suo sosia», dove il protagonista «è ora l’uno ora l’altro», dove si mette in scena «la dissociazione schizoide che divide in due una persona» e dove «tra i due dissociati c’è un accordo perfetto», un «vero equilibrio».
È questo forse il senso di un metaromanzo filologico: non chiedere al lettore di accogliere una struttura e una tesi predefinita, ma imporgli un esercizio critico di ricostruzione della forma e del senso. E se «al fondo della scissione dei due Carli c’è il disagio di Pasolini nell’accettarsi in quanto borghese», se «l’attrazione che prova per il Potere si teatralizza in attrazione sessuale per i fascisti» (così Siti, dalla Postfazione), ci saranno allora anche altre domande da porsi leggendo Petrolio: Pasolini era consapevole delle contraddizioni di Cefis? Quelle contraddizioni erano le sue? Sussiste ancora, in Petrolio, «lo scandalo del contraddirmi» delle Ceneri di Gramsci, il paradosso «dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere»?
[Una prima versione di questo articolo è già stata pubblicata sul magazine Lingua italiana di Treccani.it]
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